L’Italia dopo la "BRIexit": Il nuovo arrivato nell’Indo-Pacifico
L’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative (BRI) ha segnato un momento importante nell'evoluzione recente della politica estera di Roma
Il 23 marzo 2019, l'Italia divenne il primo membro del G7 a firmare ufficialmente per la Belt and Road Initiative (BRI). Cinque anni dopo, l'Italia ha deciso di uscire da questo progetto. Con la sua "BRIexit", Roma sta anche adottando un nuovo approccio verso l'Asia, più pro-attivo, basato su due pilastri: Giappone e India. Tuttavia, mentre l'Italia si ritira formalmente dalla BRI, il prossimo Forum Economico Italia-Cina, previsto a Verona il 4 aprile 2024, sottolinea l'approccio ancora un po’ ambiguo di Roma, che punta a mantenere almeno relazioni amichevoli con Pechino. Questa partnership dovrebbe basarsi sul Partenariato Strategico Globale del 2004, concordato però in un contesto molto diverso, in un’era geopolitica completamente differente, ben prima della svolta assertiva della politica estera cinese sotto l’attuale leadership di Xi Jinping.
Nel 2019, la BRI rappresentò il tentativo più significativo del governo populista italiano dell'epoca, composto dal Movimento 5 Stelle (M5S) e dalla Lega, di orientare la politica estera italiana in una nuova direzione. Tuttavia, questo tentativo non ebbe successo e la politica estera italiana non subì grandi cambiamenti, nonostante le ambizioni. Anche i governi italiani precedenti avevano mostrato interesse per la BRI, ma fu sotto quell'esecutivo populista che l'Italia adottò un approccio più risoluto, decidendo di aderire formalmente.
Il Ministero che gestì l'accordo, il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), era guidato da Luigi Di Maio, che all'epoca era anche vicepremier e leader politico del M5S. Di Maio era un forte sostenitore di un cambiamento nell'orientamento storico dell'Italia, in particolare verso la Cina. Tuttavia, fu soprattutto un suo sottosegretario, Michele Geraci, a spingere significativamente per l'adesione alla BRI. Geraci, sottosegretario della Lega, era considerato molto vicino al fondatore del M5S, Beppe Grillo, ritenuto uno dei membri più filocinesi dell'establishment italiano. Geraci stesso è storicamente uno dei più vocali sostenitori di relazioni più strette tra Italia e Cina.
Questo sviluppo fu considerato un grande successo diplomatico e politico per la Cina, con alcuni che vedevano l'Italia come il "cavallo di Troia" di Pechino in Europa. Tuttavia, il Memorandum d’Intesa (MoU) era significativamente meno ambizioso rispetto alla proposta iniziale di Pechino: non era giuridicamente vincolante e i suoi termini erano piuttosto vaghi. Alcuni attori istituzionali italiani intervennero per moderarne la portata e l'impatto. Dal punto di vista materiale, come notato dall’esperta di Cina Francesca Ghiretti, il MoU della BRI è stato in larga parte inconcludente.
Negli ultimi cinque anni, c’è stato un cambiamento generale di prospettiva nel panorama politico italiano riguardo alla Cina. Questa riflessione iniziò con lo scoppio della crisi del Covid-19: i tentativi aggressivi della Cina di capitalizzare le fratture esistenti tra l'Italia e i suoi alleati storici, insieme alla propaganda e alla disinformazione, spinsero molti attori politici italiani a rivedere le proprie posizioni. Da allora, i governi successivi hanno adottato un approccio più cauto verso la Cina. Non è un caso che ci sia una forte continuità tra il governo di destra guidato da Giorgia Meloni e quello del suo predecessore, Mario Draghi, su questo tema specifico.
Le pressioni americane hanno avuto un ruolo nella decisione dell'Italia. Washington è sempre stata preoccupata per le posizioni filocinesi di una parte dell'establishment politico italiano. Il primo viaggio di Meloni a Washington accelerò la decisione dell'Italia sulla partecipazione alla BRI. La questione era ovviamente in cima all'agenda durante l'incontro bilaterale tra il Presidente del Consiglio italiano e il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alla Casa Bianca nel luglio 2023.
Pochi giorni dopo la visita, il Ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto, uno dei leader chiave del partito di Meloni, Fratelli d’Italia (FdI), dichiarò in un'intervista al Corriere della Sera: “La scelta di aderire alla Via della Seta è stato un atto improvvisato e scellerato, compiuto dal governo di Giuseppe Conte, che ha portato a un doppio risultato negativo”, avvertendo però che il problema ora è “fare marcia indietro senza danneggiare le relazioni. Perché è vero che la Cina è un concorrente, ma è anche un partner”. In risposta, il Global Times, organo ufficiale di stampa internazionale del Partito Comunista Cinese, pubblicò due articoli avvertendo l’Italia che “uscire dalla BRI potrebbe diventare un rimpianto” e attribuendo questa decisione alle pressioni degli Stati Uniti e dell’UE.
Anche prima che la decisione sull’uscita dall’BRI fosse ufficiale, era evidente che Roma stava prendendo una direzione diversa riguardo al suo approccio alla Cina e più in generale all’Asia. L’attuale governo italiano ha promosso un approccio più dinamico verso la regione indo-pacifica, muovendosi su alcune linee direttive già introdotte dal governo Draghi. L’Italia, un attore relativamente nuovo in questa regione rispetto ai suoi omologhi europei come Regno Unito, Francia e Germania, deve ancora pubblicare una strategia indo-pacifica ufficiale. Tuttavia, a gennaio e marzo dello scorso anno, l’Italia ha elevato le sue relazioni con Giappone e India ad un livello di “partenariato strategico”.
Insieme a Tokyo, Roma sta anche collaborando nel Global Combat Air Programme (GCAP), un’innovativa iniziativa “minilaterale” che include il Regno Unito per sviluppare un caccia stealth di sesta generazione. L’Italia sta anche aumentando la sua presenza militare nella regione. Ad aprile, il secondo pattugliatore della classe Thaon di Revel, Francesco Morosini, ha iniziato una missione di cinque mesi nella regione Asia-Pacifico, toccando quindici porti in quattordici paesi. Questa missione mira a sostenere i principi di libertà di navigazione e rispetto del diritto internazionale del mare, svolgendo attività di diplomazia navale e missioni di sicurezza marittima. A partire da giugno 2024, l’Italia prevede anche di schierare la sua portaerei ammiraglia, la Cavour, nell’area.
Le iniziative strategiche dell’Italia nella regione indo-pacifica rispondono a motivazioni diplomatiche e politiche. In primo luogo, l’uscita dalla BRI e il rafforzamento dei legami con Giappone e India hanno un significato transatlantico evidente: sottolineano l’impegno di Roma a mantenere il suo tradizionale allineamento politico-estero, rimanendo coerente con le mosse e le preferenze di Stati Uniti e partner europei, un aspetto particolarmente apprezzato da Washington dopo le incomprensioni causate dall’adesione alla BRI. In secondo luogo, anche se l’Italia non è una potenza militare globale, esercita influenza in altri settori, come il commercio, il soft power e l’appeal culturale.
Pertanto, mentre la regione indo-pacifica acquisisce crescente rilevanza globale, è fondamentale per l’Italia stabilire una presenza in questa area. Infine, la proiezione indo-pacifica dell’Italia dovrebbe essere considerata anche da una prospettiva mediterranea. Per Roma, le dinamiche nella regione indo-pacifica sono strettamente legate agli sviluppi nell’area del cosiddetto Mediterraneo Allargato. Rafforzare la sua presenza nell’Indo-Pacifico potrebbe quindi contribuire a raggiungere gli obiettivi italiani nel Mediterraneo, un’area destinata a guadagnare importanza geopolitica globale come punto di connessione tra Atlantico e Indo-Pacifico.
L’uscita ufficiale dell’Italia dalla BRI ha semplicemente formalizzato una transizione che era già in corso da tempo. L’attuale governo aveva già rafforzato questo cambiamento annunciando l’incremento delle relazioni con Giappone e India. Dopo le turbolenze del 2020, l’Italia ha realizzato che coltivare legami economici con la Cina non deve compromettere la sua sicurezza o le sue alleanze tradizionali. Da questo punto di vista, la crisi del Covid-19 ha rappresentato un momento cruciale per l’intero panorama politico italiano, rivelando i rischi di una dipendenza eccessiva da Pechino. Inoltre, le attività economiche predatorie della Cina e le pratiche commerciali sleali hanno spinto l’Italia ad adottare una posizione più cauta verso Pechino come "Eldorado di mercato" per i prodotti italiani. Pertanto, l’Italia cercherà di rafforzare la sua presenza in Asia in modo diverso. Diventando un “attore indo-pacifico” e promuovendo i legami con Giappone e India, Roma ha adottato una posizione diplomatica più coerente con le sue alleanze storiche e partnership, anche se rimane un attore relativamente nuovo in questo contesto.
Versione italiana di un articolo scritto in inglese per il portale internazionale “The Geopolitics”, pubblicato il 28 Marzo 2024