Il ritorno di Donald Trump: Una sfida per l’Europa
L'Europa deve uscire dalla sua zona di comfort per essere un vero attore globale. Paradossalmente, Trump può aiutarla.
Speciale Trump 2025: Questo è il secondo di quattro post specificatamente dedicati all’analisi delle possibili traiettorie di politica estera della nuova presidenza americana di Donald Trump, chiaramente con un focus mediterraneo.
Questo pezzo è una traduzione, aggiornata e riadattata, di un’analisi pubblicata dall’Atlantic Council scritta da Mario De Pizzo, notista politico del TG1 e non-resident senior fellow dello Europe Center dell’Atlantic Council, tra i principali esperti italiani di relazioni transatlantiche, autore di “L’America per noi” pubblicato da Luiss University Press nel 2021.*

di Mario De Pizzo, notista politico del TG1 e non-resident senior fellow, Europe Center, Atlantic Council
Il 20 Gennaio, Donald Trump ha iniziato il suo secondo mandato come Presidente degli Stati Uniti d’America dopo aver vinto le elezioni lo scorso novembre. Guardando questa vittoria, e questa nuova fase, dall’Europa, si ha la consapevolezza ben definita che l’Europa deve cambiare.
Questa consapevolezza ha colpito i leader dell’Unione Europea (UE) poco dopo queste elezioni, già durante il vertice del Consiglio europeo del 7-8 novembre a Budapest. Il ritorno di Trump li ha spinti a trovare un accordo inaspettato nella dichiarazione finale, in cui si sono impegnati affinché l’Europa “assicuri la propria prosperità economica comune, migliori la sua competitività, diventi il primo continente climaticamente neutrale al mondo e garantisca la sovranità, la sicurezza, la resilienza e l’influenza globale dell’UE.”
Questa retorica riflette una presa d’atto che si è sta facendo sempre più incombente tra i leader europei: l’UE deve elaborare nuove strategie per salvaguardare i propri interessi in un contesto globale sempre più imprevedibile.
Una nuova era per le relazioni transatlantiche
Le prime reazioni alla vittoria di Trump offrono spunti su come potrebbe muoversi l’UE. Dopo il risultato elettorale negli Stati Uniti, il presidente francese Emmanuel Macron aveva esortato l’Europa ad adottare un atteggiamento più assertivo, affermando che “l’Europa deve farsi i denti o rischia di essere divorata dai carnivori del mondo. Credo che, almeno, dovremmo scegliere di diventare onnivori.” Negli stessi giorni, il cancelliere tedesco Olaf Scholz aveva assunto un tono più conciliatorio, osservando che l’Europa continuerà a collaborare bene con il futuro presidente statunitense, pur avvertendo che “dobbiamo fare ciò che è necessario per la nostra sicurezza.” La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, unica leader europeo che ha anche partecipato all’inaugurazione, sembrava invece subito accogliere in pieno la nuova sfida. Dopo la vittoria di Trump, citando il presidente statunitense John F. Kennedy, aveva dichiarato: “Non chiederti cosa gli Stati Uniti possano fare per te, chiediti cosa l’Europa debba fare per sé stessa.”
L’approccio transazionale di Trump alle relazioni internazionali suscita preoccupazioni. La sua preferenza per accordi bilaterali rischia di frammentare l’unità europea, poiché i singoli Stati membri potrebbero cercare favori alla Casa Bianca. Mentre i leader ideologicamente allineati con Trump, come il primo ministro ungherese Viktor Orbán, potrebbero sperare in rapporti più stretti, l’UE dovrebbe dare priorità agli interessi strategici collettivi rispetto ad approcci frammentati.
Verso un obiettivo comune
L’UE affronta una prova cruciale: riuscirà a elaborare una strategia unificata per rispondere a Trump? Il presidente eletto è notoriamente considerato “imprevedibile” e molti partner europei sono preoccupati per le minacce di Trump di aumentare i dazi. Se questi dazi venissero applicati, il prodotto interno lordo (PIL) dell’Eurozona potrebbe diminuire di circa lo 0,7%, con le economie tedesca e italiana particolarmente a rischio. Questa minaccia imminente potrebbe spingere i leader europei a trovare soluzioni condivise. Il rischio è che, sotto pressione, l’Europa si divida e si rivolga a Washington in modo disorganizzato.
L’UE può inaugurare una nuova fase di prosperità concentrandosi su tre pilastri: competitività economica e industriale (soprattutto nel settore automobilistico), transizione energetica e difesa. Questi sono punti strategici del rapporto sulla competitività dell’UE pubblicato a settembre e redatto da Mario Draghi, ex presidente del Consiglio italiano ed ex presidente della Banca Centrale Europea. Notando a Budapest che l’Europa è “troppo piccola” per procedere in modo casuale, Draghi ha dichiarato: “Dobbiamo negoziare con l’alleato americano, con uno spirito unito, in modo da proteggere anche i nostri produttori europei.” Nel rapporto sulla competitività, Draghi ha presentato una roadmap che i leader europei sembrano sempre più orientati ad adottare. Come Draghi ha spiegato più volte: “L’integrazione è la nostra unica speranza.”
L’Ucraina al centro della scena
Il futuro dell’UE e delle relazioni transatlantiche è anche strettamente legato all’esito dell’aggressione russa contro l’Ucraina. Il presidente statunitense uscente Joe Biden è riuscito a unire l’Europa in difesa di Kyiv dopo l’invasione su larga scala della Russia nel febbraio 2022. Durante la sua campagna, Trump si è presentato come il presidente che metterà fine a vari conflitti in tutto il mondo. Secondo le sue promesse elettorali, ha un piano per fermare l’aggressione russa in Ucraina. La recente nomina del generale Keith Kellogg come inviato speciale per Ucraina e Russia indica come potrebbero svilupparsi gli eventi, con gli Stati Uniti che darebbero priorità a un cessate il fuoco. Nell’ambito di un accordo potenziale, ciò potrebbe comportare una riduzione del sostegno finanziario statunitense a Kyiv, richiedendo ai paesi europei di farsi carico di una quota maggiore delle spese per sostenere la difesa ucraina.
Le iniziative europee recenti evidenziano le sfide che attendono. Il 16 novembre 2024, Scholz ha parlato con il presidente russo Vladimir Putin per la prima volta dalla fine del 2022, forse per sondare il terreno per un possibile accordo di pace, che potrebbe rafforzare la posizione interna del cancelliere in vista delle elezioni di febbraio in Germania. Il giorno successivo, Meloni, come presidente del Gruppo dei Sette (G7), ha emesso una dichiarazione di “sostegno incrollabile all’Ucraina,” condannando la Russia come “l’unico ostacolo a una pace giusta e duratura,” in un documento firmato anche da Scholz.
Sebbene ben intenzionate, queste iniziative sembrano scoordinate, evocando ricordi delle divisioni europee durante la guerra in Iraq del 2003. In tal senso, l’UE rischia di rivivere un “momento 2003.” Ventun anni fa, i leader dell’UE erano profondamente divisi sull’ultimatum degli Stati Uniti che avrebbe poi portato alla guerra in Iraq. Da un lato, Francia e Germania, guidate dal presidente francese Jacques Chirac e dal cancelliere tedesco Gerhard Schröder, si opposero fermamente al piano del presidente statunitense George W. Bush, convinti che l’Europa dovesse trovare la propria autonomia strategica. Dall’altro lato, i leader di Regno Unito, Italia e Spagna (tra altri paesi) appoggiarono apertamente Bush.
Come ha sottolineato Draghi, l’Europa non può permettersi un’altra divisione simile. L’Unione Europea—dopo quasi tre anni di sostegno all’Ucraina—deve dimostrare unità nell’affrontare il conflitto ucraino, riconoscendo che un approccio frammentato minerebbe sia la sua credibilità e che la sua autonomia strategica.
Tracciare un percorso per il futuro
I principali paesi europei – Germania, Francia e Italia – devono guidare gli sforzi per rafforzare l’integrazione dell’UE e ridefinire le relazioni transatlantiche. Le elezioni tedesche di febbraio potrebbero avere un impatto significativo sulla politica del blocco. Potrebbero portare a un governo più impegnato e ambizioso sull’integrazione dell’UE, potenzialmente guidato da Friedrich Merz e dai Cristiano-Democratici in una coalizione con i Socialdemocratici. Una tale coalizione sarebbe politicamente allineata con la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, rafforzando il ruolo di Berlino nella definizione della politica dell’UE.
Nel febbraio 2025, Macron ospiterà il Summit sull’Azione per l’Intelligenza Artificiale a Parigi, al quale inviterà certamente Trump e Elon Musk, l’imprenditore high-tech miliardario attualmente sempre più rilevante nel disegno politico del nuovo presidente, Sebbene impegnativa, potrebbe essere l’occasione giusta per valutare l’atteggiamento del presidente statunitense verso l’Europa. Le precedenti interazioni di Macron con Trump potrebbero rivelarsi preziose per navigare questa complessa relazione in futuro.
Sotto la guida di Meloni, l’Italia potrebbe svolgere un ruolo importante nel promuovere l’unità europea attraverso la sua appartenenza al G7. Allineandosi con alleati come il Giappone e il Canada, Roma potrebbe anche contribuire a mitigare l’inclinazione di Trump verso relazioni bilaterali a scapito del coordinamento multilaterale. Per preservare la sua influenza, Roma vorrà rafforzare il ruolo del G7, dove ha un posto al tavolo, a differenza di altri forum come il Triangolo di Weimar—composto da Francia, Germania e Polonia—dove l’Italia partecipa solo come ospite.
L’Europa deve affrontare, quindi, una grande sfida: rafforzare la propria integrazione mentre rimodella i legami con gli Stati Uniti. Il successo richiederà lungimiranza strategica, unità e la volontà di adattarsi a un mondo multipolare. Anche se il percorso sarà inevitabilmente segnato da prove ed errori, è una sfida che i paesi europei devono necessariamente affrontare insieme.
Versione tradotta e riadattata del pezzo pubblicato dall’Atlantic Council, il 4 Dicembre 2024 intitolato “ Trump’s return is a test of European resolve and growth”
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