Marocco, Algeria e Stati Uniti: un equilibrio impossibile sotto Trump?
Il fragile equilibrismo con cui Biden ha gestito le relazioni con Algeria e Marocco rischia di sparire con la nuova presidenza, con conseguenze potenzialmente molto nefaste.
Speciale Trump 2025: Questo è l’ultimo di quattro post specificatamente dedicati all’analisi delle possibili traiettorie di politica estera della nuova presidenza americana di Donald Trump, chiaramente con un focus mediterraneo.
In questa analisi, ci si focalizza su come la nuova amministrazione di Donald Trump gestirà le relazioni con le due principali potenza maghrebine, Algeria e Marocco, in particolare sulla questione del Sahara Occidentale. Rabat sembra essere tra i paesi più vicini, e meglio visti, dalla nuova amministrazione repubblicana. Il rischio che il delicatissimo equilibro che in questi ultimi anni ha resistito - nonostante tutto - si incrini, portando a conseguenze inaspettate e probabilmente nefaste, è alto, molto alto.

Con l’avvento della nuova amministrazione di Donald Trump, l’area del Medio Oriente e del Nord Africa non dovrebbe rappresentare una delle priorità del nuovo corso americano. Le prime nomine in ruoli non di primissimo piano ma essenziali nel definire i dettagli di policy dell’amministrazione dietro le quinte a D.C. suggeriscono uno scenario di disimpegno. Trump stesso, parlando della Siria – di gran lunga la questione centrale al momento nella regione insieme alla guerra a Gaza – ha detto che “non è un problema americano” e la sua amministrazione sta spingendo, sin da subito, per terminare la guerra a Gaza, viene vista come una distrazione da altri scenari, e come luogo dove cambiare marcia e approccio. In questo ambito, se il Medio Oriente è visto come una distrazione, il Nord Africa ha un valore geopolitico e diplomatico ancora meno significativo agli occhi degli americani. C’è una questione, però, che resta sul tavolo regionale e rischia sia di complicarsi ulteriormente, e su questo molto dipenderà dall’approccio americano, sia di forzare gli americani a tornare a occuparsi di questo quadrante per il quale l’attenzione non è normalmente molto significativa: Il conflitto nel Sahara Occidentale.
Questa disputa contrappone il Marocco, che ha annesso l'ex territorio controllato dalla Spagna, al Fronte Polisario, che dal 1975 cerca l'indipendenza del territorio con il sostegno dell'Algeria. Dal 2021, l'Algeria e il Marocco sono coinvolti in una rinnovata crisi diplomatica, con confini blindati e ripetuti lanci di accuse reciproche. Il Marocco ha concluso il 2024 ribadendo la propria sovranità su questo territorio, in un anno in cui anche la Francia – dopo la Spagna – ha cambiato rotta, sostenendo la sovranità di Rabat su questi territori.
Su questa questione, la prima amministrazione di Donald Trump ha strutturalmente modificato l’approccio americano, in virtù della necessità di includere il Marocco nel quadro dei cosiddetti “Accordi di Abramo”. Se l’amministrazione Ford, la prima che dovette misurarsi con questa situazione, lavorò sottotraccia per consentire al Marocco di ottenere il pieno controllo del territorio nonostante avesse dichiarato la neutralità, tutte le amministrazioni statunitensi successive mantennero una posizione più o meno neutrale, a partire dall’amministrazione Carter: ciò che veniva definita “neutralità positiva” era un neutralità leggermente più orientata verso il Marocco, visto prima come un alleato antisovietico e successivamente come un partner nella lotta al terrorismo, ma incentrata sempre sulla priorità formale dal al diritto internazionale, ribadendo sempre che la questione dovesse essere affrontata e risolta nel quadro delle Nazioni Unite.
In questo contesto, storicamente le amministrazioni repubblicane hanno solitamente mostrato una maggiore sensibilità verso le aspirazioni di Rabat. Anche quando, durante il primo mandato dell’amministrazione di George W. Bush, gli Stati Uniti sostennero il piano ONU proposto dall’ex Segretario di Stato di George Bush Senior, James Baker, si oscillava sempre tra il rispetto formale per la legalità dell’ONU e i tentativi di rafforzare ulteriormente le relazioni bilaterali con il Marocco. Nel 2004, gli Stati Uniti e il Marocco firmarono un accordo di libero scambio, che però escludeva il Sahara Occidentale, e che prevedeva un trattamento preferenziale fino ad allora goduto da un solo altro paese nella più ampia regione del Medio Oriente e Nord Africa: la Giordania. Inoltre, in quello stesso anno, il Marocco fu designato come Major Non-NATO ally. Tuttavia, anche quando specifiche amministrazioni americane si avvicinarono di più ai desiderata di Rabat, nessuna mai si era spinta al punto tale da alterare in modo sostanziale l’approccio, come invece fatto da Trump.
Biden non ha fatto nulla per invertire ufficialmente questo cambiamento, nonostante la decisione formale di Trump di riconoscere la sovranità marocchina su questi territori sia avvenuta solo dopo la sua sconfitta elettorale. Molti membri dell’amministrazione Biden non erano particolarmente convinti di continuare su quella strada, ma revocare una decisione così significativa senza alienarsi un alleato come Rabat sarebbe stato estremamente difficile. Da un lato, il Marocco è storicamente legato agli Stati Uniti e all’Occidente sin dalla Guerra Fredda, controlla un punto strategico marittimo cruciale come lo Stretto di Gibilterra ed è diventato un attore sempre più influente nelle dinamiche geopolitiche africane negli ultimi anni. Dall’altro lato, muoversi in una direzione diversa avrebbe indebolito significativamente il quadro più ampio degli Accordi di Abramo, che, sebbene siano stati iniziati da Trump, sono stati perseguiti anche dall’amministrazione Biden
In questo senso, Biden ha adottato una posizione di ambiguità retorica sulla questione, come spiegato in dettaglio dall’International Crisis Group. L’amministrazione ha ricalibrato con attenzione la posizione ufficiale degli Stati Uniti, evitando riferimenti diretti alla sovranità marocchina, non portando avanti la promessa di Trump di aprire un consolato americano a Dakhla e considerando il piano di autonomia non come “l’unica base” per risolvere il conflitto, come definito dalla precedente amministrazione, ma semplicemente come “un potenziale approccio” verso una soluzione.
Nonostante tutto, Biden ha cercato di mantenere un equilibrio nelle relazioni con l’Algeria. Sebbene Algeri non sia storicamente un alleato così stretto degli Stati Uniti come Rabat, rimane un partner importante, in particolare per quanto riguarda la lotta al terrorismo e la geopolitica africana e mediterranea. Questa rilevanza è stata confermata dal sorprendente memorandum d’intesa firmato a gennaio 2025 tra Algeria e Stati Uniti per rafforzare la cooperazione militare, uno sviluppo estremamente significativo considerando che l’Algeria è un paese storicamente non-allineato e che mantiene legami rilevanti con la Russia in questo settore.
Tuttavia, con il potenziale ritorno di Trump, il ruolo americano di bilanciatore potrebbe cambiare. Il nuovo Segretario di Stato, Marco Rubio, è considerato particolarmente filomarocchino. Su questo punto, però, resta da vedere quando il nuovo Segretario di Stato sarà in grado di tradurre effettivamente le sue opinioni personali in politiche concrete. In generale, tuttavia, il Marocco dispone di più strumenti per influenzare il dibattito negli Stati Uniti. Il Marocco capisce e sa come sfruttare le regole del gioco a Washington, dalla sua presenza nei think tank e nei circoli diplomatici e para-diplomatici alle sue relazioni con le società di lobbying. Inoltre, Rabat ha una certa affinità con il mondo repubblicano, mantenendo relazioni e connessioni forti e fitte, e questa potrebbe essere una carta molte importante da giocare.
Infine, c’è un elemento più immediato ma non meno importante da considerare: negli ultimi mesi è diventato evidente che il principe ereditario del Marocco, Moulay El-Hassan, stia assumendo un ruolo sempre più pubblico, come dimostrato dal suo incontro con il leader cinese Xi Jinping, che ha accolto a Casablanca durante la sua recente visita. Certo, un’amministrazione come quella di Trump potrebbe vedere con sospetto l’attuale solidità delle relazioni cinesi-marocchine, ma su questo Rabat è riuscita ad evitare che gli americani ci si soffermassero troppo. In questo senso, queste relazioni non nascono oggi, e nonostante questo il Marocco non ha subito nessun contraccolpo. La sempre più visibile presenza pubblica del principe ereditario suggerisce che la salute del re Mohammed VI rimane problematica e, se dovesse peggiorare improvvisamente, la transizione potrebbe avvenire molto prima del previsto.
Da questo punto di vista, molti – nell’élite marocchina – vedrebbero di buon occhio una risoluzione rapida, ma soprattutto definitiva, della questione del Sahara Occidentale. Quindi, potrebbe esserci una pressione da parte marocchina per spingere Trump e la sua amministrazione a risolvere la questione in favore di Rabat già nei primi mesi della sua presidenza, alterando così il ruolo di equilibrio che gli Stati Uniti hanno mantenuto sotto Biden. Qualora ciò accadesse, e se l’amministrazione Trump dovesse decidere di abdicare al ruolo di bilanciatore che l’amministrazione precedente ha giocato negli ultimi quattro anni, il rischio di un conflitto totale tra Marocco e Algeria, e che avrebbe anche effetti immediati e destabilizzanti in tutta l’area del Mediterraneo occidentale, aumenterebbe drasticamente.
Vedi anche…
Politica Estera - The Italian Compass #3/2025
Mediterraneo Globale - Trump fa sul serio sul disimpegno in Medio Oriente? Osservazioni dalle prime nomine
Mediterraneo Globale - La Settimana Mediterranea - 3/2025
Politica Estera - The Italian Compass #2/2025
Politica Estera - Scriptorium Italiae #1/2025